Tofana di Rozes

Un sentiero poco battuto, un anello strepitoso attorno ad una delle Tofane, una valle dove sembra essere fuori dal mondo e dal tempo, gli orizzonti sono le alte montagne che ci stanno attorno... come se si fosse nell'ombelico del mondo.


Se non fosse per le testimonianze di quello che è un museo all’aperto della grande guerra, le trincee, la galleria del Piccolo Lagazuoi e la cengia Martini su tutte, che hanno reso l’escursione del Pizzo Lagazuoi davvero indimenticabile, quella di oggi sarebbe stata senza dubbio la giornata più impegnativa, più coinvolgente, e più carica di emozioni dell’intera settimana dolomitica. Oggi il feelin con una montagna vera, il senso di imponenza che ci ha circondato, quello di isolamento, e di natura forte, non ci hanno mai abbandonato. Sulla strada che dal Falzarego scende verso Cortina abbiamo imboccato sulla sinistra la strada che sale verso il rifugio Dibona, per un lungo tratto è asfaltata, l’ultimo chilometro, quello che inizia dopo l’incrocio per la carrareccia che sale al rifugio Pomedes, si trasforma in brecciata ma rimane sempre molto ben percorribile. La notte precedente era piovuto ed anche un forte temporale si era abbattuto in zona, avevamo qualche dubbio ad intraprendere questa lunga escursione e quando arriviamo ai 2083 mt del parcheggio il rifugio dorme sonnolento, ancora all’ombra e con quella leggera caligine che è tipica delle mattine estive successive ad una grande pioggia. Il cielo è comunque terso, le previsioni meteo danno quasi per certo altre piogge e forse temporali nel pomeriggio, l’incertezza inutile dirlo esiste, Per rendere più interessante la giornata, abbiamo deciso di iniziare l’escursione dal sentiero attrezzato Astaldi che dai pressi del rifugio Pomedes taglia alla base di Punta Anna e sbuca nel grande catino che sale poi al rifugio Giussani, ma non ci è andata bene, abbiamo trovato la roccia bagnata, una traccia molto incerta, credo non sia molto frequentato, anche franata in alcuni tratti e a vista non avevamo la continuità col sentiero che scorreva sotto Punta Anna, non ce la siamo sentita di cercare avventura in un tratto così ripido e sconnesso e abbiamo desistito; peccato per il sacco di strada in più che potevamo risparmiarci e per il già considerevole dislivello superato inutilmente, dopo un’ora e mezza eravamo al punto di partenza, era tutto da rifare, lasciamo i kit da ferrata in macchina, a questo punto solo peso inutile e ripartiamo per il sentiero normale, a dire il vero una ampia strada brecciata che sale con lunghi traversi e molte svolte e che molto presto diventa anche un po’ monotona. La strada sale dentro l’ampio vallone detritico, il Valon de Tofana, contenuto tra le imponenti pareti della Tofana di Rozes e Punta Anna, che a farla semplice altro non è che lo spigolo Sud della Tofana di Mezzo; saliamo col nostro solito passo eppure la forcella dentro la quale il sentiero si infila sembra non avvicinarsi mai, sintomo chiaro dell’enormità dell’ambiente in cui ci troviamo; le rocce intorno strapiombano e sono imponenti come la vastità del vallone e giustamente le dimensioni si perdono. Quando arriviamo su quella che da sotto sembra una forcella stretta, e dopo aver incrociato e preso il sentiero 404 che non lasceremo quasi più, gli ambienti rimangono enormi, le strette svolte si infilano tra un mare di rocce e continuano ad essere ampie, solo nei pressi delle rovine dei vecchi rifugi prende i connotati precisi di un sentiero. Scivoliamo in questo mare di rocce spoglie, a destra i ripidi i costoni di Punta Anna prima e punta Giovannina poi, sovrastano letteralmente perpendicolari l’ampia e lunga sella, a sinistra i resti del vecchio rifugio Tofana, oggi adibito a solo bivacco invernale e del rifugio Cantore ormai in rovina sono incastrati sulle pendici della Tofana di Rozes che li inghiotte. Poche centinaia di metri ancora e dopo che il sentiero si è attorcigliato intorno a delle grosse rocce erranti, compare il rifugio Giussani, siamo sulla Forcella Fontananegra a 2561 mt di altezza. Incombente e verticale si alza sopra il tetto del rifugio Punta Giovannina, dalla parte opposta cerchiamo di seguire le tracce del sentiero che sale fino in vetta alla Tofana; una tentazione questa piramide polverosa, sembra formata da una miriade di gradoni, una montagna molto frequentata per via del relativamente facile accesso su un sentiero comunque per esperti e non assicurato, Non è per oggi però, il cielo minaccia pioggia, non ci vorremmo trovare per niente al mondo a scendere su quella roccia bagnata; uno strudel, una birra ed una limonata calda ci aiutano a riflettere sul da farsi, il sole è sparito, la temperatura è scesa, le previsioni meteo davano possibilità di pioggia nel pomeriggio, uno dei ragazzi gestori del Giussani ci rassicura che non pioverà, diamo credito a chi queste montagne le conosce e decidiamo di continuare per l’anello della Tofana, forse improvvisando un po’ e forse sottovalutando la lunghezza del percorso; la decisione è stata più che mai azzeccata. I sentiero 403/404 riprende alle spalle del rifugio, ben indicato, ampio e battuto si inoltra e scende all’interno di un ampio conoide, El Majarie sulle carte, incastrato tra Punta Giovannina e la Tofana di Mezzo da una parte e la scura parete della Tofana di Rozes dall’altra; districandosi in un deserto di rocce e massi erratici perde quota lentamente nel tratto iniziale e si va ad affacciare sulla profonda valle Travenanzes, tanto stretta che le ripide dorsali degli Zimes di Fanes che salgono sul versante opposto, sembrano avere continuità col vallone dove siamo. L’ambiente è severo, immenso, un deserto di roccia, si respira aria di montagna dura e isolata, regala emozioni austere e la sensazione di essere davvero soli è fortissima. Al primo tratto alto di roccioni erratici si sostituisce un ghiaione detritico più ripido dove il sentiero traversa lungamente in una direzione e nell’altra; un incrocio ed una palina con dei cartelli indica le due possibili direzioni per la stessa meta che è il fondo valle; continuando diritti il sentiero arriva sul ciglio della parete che scende verticale e dove si imbocca la scala Minighel, ferrata che il mio ardire non sopporterebbe, soprattutto in discesa, ma ne parleremo successivamente quando gli passeremo sotto; girando sulla destra invece si continua a traversare per quella che potremmo definire la via normale, il giro si allunga non di poco ma è alla portata di tutti, o quasi. Dall’incrocio si traversa completamente la comba ghiaiosa, si oltrepassa un piccolo ruscello e si punta una terrazza sotto la parete della Tofana di Centro dove si inizia con decisione la discesa verso valle. Da sottolineare che nel frattempo, scesi come eravamo e ormai ai limiti del Majarie (termina con un salto repentino di circa cento metri e anche più), la vista sulla valle verso Sud si è allungata tantissimo: i boschi del versante opposto scendono scuri fino a fondo valle, sono solcati ogni tanto da strette fiumane di ghiaia, un torrente ci scorre al centro per tutta la sua lunghezza, le torri di Fanes e di Travenanzes si alzano tozze e verticali quasi di fronte a noi e dominano letteralmente l’ambiente, la lunga dorsale delle Terre Rosse, una formazione rocciosa di color ruggine si alza fino a confondersi col Gran Lagazuoi; un colpo d’occhio incredibile, davvero gli orizzonti sono solo alte montagne e la sensazione è quella che si stia per finire nell’ombelico del mondo. Quando non conosci un sentiero ogni passo è una scoperta, quando segui la traccia sulla carta e sai che sei nella direzione giusta continui fiducioso, ma quando stai per finire a ridosso di una parete, la cengia si assottiglia sempre di più e la valle giù sotto che devi raggiungere è ancora altissima, inizi a farti qualche domanda. Era quello che ci stava accadendo, la traccia sulla carta parlava chiaro, per chiudere l’anello dovevamo allontanarci ancora in direzione Nord-Ovest, traversare fino a scendere quasi a valle per poi, una volta giù, riprendere in direzione opposta verso Sud e verso Col de Bos. Il traverso continuava senza cenni di inversione di rotta, si stringeva sempre di più verso la roccia, via via che ci si abbassava oltre che stringersi diventava sconnessa e slavata dallo scorrere dell’acqua, la valle rimaneva alta, non potevamo aver superato un ipotetico incrocio, non c’era spazio, continuavamo ad andare avanti ma qualche domanda ci stava nascendo dentro. Superiamo un tratto addirittura franato, dilavato, sotto incombe un pendio molto molto ripido, il sentiero quasi non esisteva più, superando dei piccoli fossi e molte frane riusciamo a raggiungere la roccia della parete e riprenderlo, qualche piccolo tratto è stato contenuto da grosse travi, in altri dei cavi a parete aiutano a dare protezione, sarà pure la via normale ma credo che presto presto dovrà essere rimessa a posto. Comunque tra una difficoltà ed un'altra, tra momenti di esposizione un po’ incerti perdiamo altezza e ci avviciniamo ad una piccola terrazza, quasi una selletta, su cui vediamo da lontano una palina con dei cartelli, immaginiamo essere l’incrocio per riprendere a salire verso il Col de Bos, non nego che mi sollevo un po’ di morale. Giunti sulla sella una serie di gradoni contenuti da grosse travi scendono ripidi fino al sentiero sottostante che scorre alla base della parete, a dire il vero alcuni gradoni non esistono più, rimangono solo le travi, l’acqua da queste parti ha fatto un mare di danni lasciando una via un po’ complicata da percorrere, un po’ di manutenzione credo sia più che mai urgente. Sul filo della parete, sopra dei ghiaioni tenuti da una vegetazione ormai antica prendiamo verso Sud per la via del ritorno, risaliamo la valle Travenanzes il cui fondo è circa duecento metri sotto, Ora dal basso cambia completamente la prospettiva, della Tofana di Rozes rimane solo la nera verticale parete, anzi il primo tratto dove ci trovavamo altro non era che il muro dove termina il vallone Majarie; nel versante opposto scorrono e ci sovrastano alte e tozze le torri di Fanes e di Travenanzes e la dorsale delle Terre Rosse fino al Pizzo Lagazuoi che da qui sembra più piccola, continuiamo a sentirci soli e isolati nel mezzo di montagne enormi e bellissime. Ci sentiamo infinitamente piccoli in questo ambiente, nel mirino della macchina fotografica Marina che mi scorre un po’ davanti quasi non si percepisce, perdiamo le dimensioni, non osiamo pensare a quanta strada davvero dovremo fare ancora per rientrare al rifugio Dibona e a dire il vero forse non ci badiamo nemmeno tanto ci sta stordendo ciò che abbiamo intorno. Ci preoccupa un po’ il cielo che si va incupendo invece, la brezza che si è alzata sa di pioggia; incuranti e non avendo altra scelta continuiamo a risalire la valle e sempre costeggiando la parete. Poco più avanti, direttamente dal suo bordo superiore, una piccola cascata compie un salto di un centinaio di metri, non una portata eccezionale ma vista l’altezza e il salto unico che compie fino alla base non è esattamente ciò che capita di vedere tutti i giorni, credo si tratti del ruscello che abbiamo guadato dal Majarie poco prima. Ci scorriamo sotto, il sentiero si discosta e si abbassa, scorre a debita distanza tanto che non ci arriva addosso nemmeno una goccia d’acqua, quelle che invece ci arrivano poco dopo sono le prime di una pioggia leggera che inizia a venir giù, per quanto lenta e poca ci rassegniamo ad arrivare in fondo zuppi fino alle mutande, perché siamo ancora lontanissimi dal chiudere l’anello. Risaliamo un cumolo detritico, ora la terrazza sotto le parete della Tofana è molto larga, e mentre fortunatamente smette di piovere raggiungiamo una palina con dei segnali, uno indica la scala Minighel, ce ne eravamo dimenticati ed eravamo curiosi almeno di vederla; lontani circa duecento metri dall’attacco, su quelle pareti verticali e scure non è stato facile individuarla, poi facendo attenzione ad alcuni dettagli ci siamo riusciti, chissà se ci riuscirete nelle foto che proverò comunque a proporre. Su una parete affatto appoggiata, completamente verticale, la scala è stata ricavata con dei pioli conficcati perpendicolarmente alla parete stessa, praticamente si sale con la spalla destra che sfiora la parete e con quella sinistra che è nel vuoto, l’inclinazione della scala è stata ricavata obliquando il piolo successivo in avanti e così via fino ad una piccola cengia che interrompe il primo tratto e lo fa riprendere in direzione opposta subito dopo; lungo la parete scorre un cavo a cui assicurare l’imbrago, una famiglia che l’ha salita e che ho incontrato lungo il Majarie, mi ha detto che oltre ad avere qualche piolo che si muove, il cavo è assicurato alla parete ogni 15 o 20 metri, insomma è roba tosta, per gente abituata alla forte esposizione. La cosa buffa è che quando lessi informazioni sul percorso, la parte riguardante questa ferrata era stata minimizzata come un tratto attrezzato con una scala, colpa mia non aver approfondito, la fortuna è stata che Marina l’ha fatto prima di partire. Riprendiamo a salire la valle, lentamente il sentiero converge verso il suo centro che si è alzato moltissimo e scorre ormai solo una trentina di metri sotto di noi, nel mezzo sempre il rumoroso ruscello la cui sorgente è poche centinaia di metri più in alto; raggiungiamo le pendici di Col de Bos, un incrocio ci fa deviare a sinistra dove il sentiero per un brevissimo tratto diventa il 402 in comune col 404 e prende ad aggirare la Tofana, continuando a destra sempre per il 402 si raggiungerebbe la Forcella di Travenzanes e da lì il sentiero per il Pizzo Lagazuoi o il passo Falzarego. La nostra traccia spiana sulla sella tra il Col de Bos e la Tofana dove, di nuovo sul versante di partenza, si apre un orizzonte meraviglioso e conosciuto sulle Cinque Torri, sulle Crode del Lago e i Lastoni di Formin, c’è da dire che nonostante gli giriamo attorno da giorni queste montagne non stancano mai. Oltre la sella si riprende a scendere, un cartello di divieto ci avvisa che il tratto di sentiero 404 sotto le gallerie del Castelletto è chiuso e non percorribile, volevamo rientrare sull’alta via delle Dolomiti che costeggia la Tofana ma abbiamo dovuto ripiegare su un sentiero più “soft” utilizzando il sentiero 412 che scorre parallelo ma un paio di centinaia di metri più basso. Si scende di quota per una decina di minuti, si imbocca per un breve tratto una larga strada brecciata che sale da fondo valle e la si abbandona per inoltrarsi sul sentiero 412 che aggira definitivamente la Tofana mantenendosi in quota; dopo i contrafforti del Rozes ci si inoltra nel bosco, proprio quando riprende a piovere, prima lentamente poi con scrosci anche violenti. Gli ultimi due chilometri sono così, sotto l’acqua che ci sta tutta e che per fortuna è arrivata anche in ritardo rispetto alle previsioni, arriviamo al rifugio Dibona che non abbiamo nulla di asciutto. La Tofana di Rozes è ormai lontana tra le nuvole del temporale che si stanno diradando lentamente eppure la sua imponenza non viene meno, bello pensare di avergli girato intorno, anche con una prima digressione la mattina che ci ha fatto perdere tempo e macinare chilometri in più; alla fine sono stati 1300 circa i metri di dislivello e circa 17 i chilometri percorsi in poco più di otto ore; nessuna vetta, nessuna ferrata adrenalinica, una cengia scomposta e lunga che alla fine si è fatta superare con pochi patemi, un rifugio storico, una delle più belle valli che abbiamo mai visto ed un mare di roccia, tanta roccia ed imponente da disorientare quasi. Siamo certi di aver compiuto una delle escursioni più interessanti che le Dolomiti possano regalare, una delle tantissime escursioni interessanti, perché le Dolomiti non a caso sono uno dei patrimoni dell’umanità.